A distanza di nove anni dall’ultimo lavoro, I Cani tornano con un album che ha il sapore di un ritorno inaspettato e necessario. Post Mortem, questo il titolo del disco, non è semplicemente una raccolta di brani, ma un vero e proprio racconto sonoro che segna una nuova fase nel percorso artistico di Niccolò Contessa. Il progetto, nato oltre un decennio fa come manifesto di una generazione urbana e disillusa, si era lentamente eclissato dopo aver lasciato un’impronta indelebile nella scena musicale italiana, diventando punto di riferimento per una certa sensibilità post-indie e post-ironia.
Con questo nuovo lavoro, I Cani si spogliano dell’estetica da cameretta per abbracciare un tono più maturo, introspettivo, a tratti quasi solenne. La scrittura resta acuta, densa, colta, ma assume sfumature più malinconiche e meno giovanilistiche. Le canzoni sembrano parlare dal bordo di qualcosa che si è chiuso, ma che proprio per questo può essere finalmente guardato con lucidità. La morte evocata nel titolo non è soltanto quella biologica, ma quella delle illusioni, delle versioni precedenti di sé, dei cicli che si interrompono per fare spazio a qualcosa di nuovo, se non altro nel modo di sentire le cose.
L’evoluzione è evidente anche nella produzione. I suoni sono più ricercati, meno spigolosi, a volte cinematografici, spesso dilatati. C’è un respiro ampio, una calma apparente che lascia affiorare pensieri e sensazioni con un’intensità nuova. Non c’è più bisogno di slogan né di provocazioni: c’è invece il bisogno, forse anche il coraggio, di dire le cose in modo diretto, con una semplicità che arriva dritta e fa male. Eppure, in mezzo a questa apparente resa, pulsa ancora qualcosa che somiglia alla speranza. La voce di Contessa è cambiata, ma non ha perso la sua forza comunicativa. Anzi, sembra averla finalmente trovata in una forma più autentica, meno costruita, più essenziale.
Post Mortem è un disco che arriva senza clamore, ma lascia un segno profondo. È il tipo di lavoro che non chiede di essere capito subito, ma che ti resta dentro, come certe conversazioni notturne che tornano a farti visita nei momenti più inaspettati. Non è un ritorno nostalgico né un tentativo di replicare il passato. È una dichiarazione di identità, forse l’unica possibile per un artista che ha sempre saputo raccontare il presente prima che diventasse passato. E ora, anche da dentro il silenzio che c’è stato, continua a farlo.
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