Pubblicato nel 1982, Pornography è il quarto album dei The Cure e, forse, il loro manifesto più radicale e oscuro. Realizzato dall’essenziale trio formato da Robert Smith, Simon Gallup e Lol Tolhurst, il disco rappresenta un viaggio disturbante e incandescente nelle profondità della psiche, dove ogni traccia si fa carico di una disperazione lucida e totalizzante.
Fin dall’apertura con “One Hundred Years”, si viene travolti da un’onda gelida di batteria martellante e chitarre lancinanti, mentre Robert Smith canta con voce straziata “Non importa se moriremo tutti”. Il suono è claustrofobico, ipnotico, scandito da un groove ossessivo che non concede tregua. “A Short Term Effect” è un canto da landa desolata, una visione onirica e sfinita, mentre “The Hanging Garden” alterna sensualità e caos in un bacio tra creature selvagge sotto la pioggia.
Ogni brano è un frammento di una lunga discesa, senza soluzione di continuità: l’ascolto si trasforma in un cammino verso l’abisso. “Siamese Twins” lascia intravedere una flebile luce, ma è solo un’illusione. Subito dopo, “The Figurehead” ci riporta nell’ombra con il basso di Gallup che pulsa come un cuore morente e i tamburi che suonano come rintocchi funebri. “A Strange Day” e soprattutto “Cold” — con il suo violoncello da cattedrale gotica e un synth gelido come marmo — aggiungono un’ulteriore, definitiva colata di nichilismo.
Il disco si chiude con la title track “Pornography”, sei minuti in cui l’intero universo dei Cure implode: “Everything as cold as life” non è solo un verso, ma un verdetto. Qui Robert Smith tocca il fondo del baratro creativo ed emotivo, offrendo al mondo un’opera senza tempo, più intensa, disperata e necessaria che mai.
A 42 anni dalla sua uscita, Pornography resta un punto fermo del darkwave e uno dei lavori più estremi e influenti degli anni ’80. Un disco che non invecchia perché parla una lingua eterna: quella del dolore umano.
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